“The avant-garde is back,” according to Romualdo Del Noce at Jazz Convention. In his review of ‘io 0.0.1 beta++’ (SLAMCD 531), Han-earl Park improvises a “rugged plateau” and “hyperacid notes”, Franziska Schroeder enriches “the other half of the sax… with a naked and experimental voice, together in harmony and dissonance with parallel and converging streams of the thoroughbred free-player Bruce Coates”, and the “charmingly imperfect interplay” between human and machine musicians becomes a drama of the ‘human,’ the ‘other,’ and of cyborgs.
Progetto rumoristico, destrutturato, ad elevato tasso di provocazione e insieme di ispirazione ed ascolto “altri”, io 0.0.1 beta ++ salta il preambolo ed esiste d’emblée nelle iperacide note della distorta chitarra di Han-Earl Park che di getto aprono le lievitanti turbolenze di un trio minacciosamente sensibile (o viceversa) e forte, peraltro, di una piuttosto enfatica auto-presentazione “Sul palco: due uomini, una donna e un artefatto, un mélange sospeso di hardware industriale, militare e domestico. Gli umani reggono oggetti lucidi e graziosi, ma il marchingegno si regge solitario; e mentre la donna e gli uomini producono suono (vibrando l’aria) toccando e diteggiando i graziosi oggetti, l’artefatto suona senza esser toccato affatto. Esso e gli umani improvvisano insieme, rispondendo alle reciproche gestualità musicali”.
Le corde tese di Park imbastiscono un plateau scabro ma di lungo e persistente respiro, vivente nelle articolazioni e nella tessitura della sua fisica elettroacustica; mentre sul versante “meccanico” dell’instrumentarium i modi performanti di Franziska Schroeder arricchiscono l’altra metà del sax (a fianco delle Matana Roberts, Alexandra Grimal, Ingrid Laubrock etc.) di una voce sperimentante e nuda, in sintonia e insieme dissonanza con i flussi paralleli e convergenti del free-player purosangue Bruce Coates, e il tutto si dipana entro uno svolgimento a canovaccio libero e istantaneo, lungo il suo deviante svolgimento interrogandosi (senza eccessivo paradosso) se l’autentica “alienità” sia rispettivamente appannaggio della cosa o, piuttosto e viceversa, dell’ “umano”.
E ancora così prosegue la sofisticata presentazione (peraltro abbastanza sinergica agli intendimenti dei tre): “io non ha inclinazione melodica e non ha addestramento narrativo per prevalere: vi è, però, un definito sentimento di connessione in ciò che Park chiama: gestualità non-periodiche, che nondimeno evocano periodicità”.
Ennesimo esempio di post-avanguardia “desiderante” (com’era in voga insinuare nell’era della sperimentazione più politicizzata—almeno negli intenti), io 0.0.1 beta ++ vive di ascolto trasmissivo e di performance aperta, che si abbevera nell’istantaneità, e nell’interplay sdogana il segno ed il polso strutturante dell’aleatorietà.
Insomma, l’avanguardia è tornata: non che fosse mai stata davvero latitante, ma gli interrogativi sonori, lacerati e critici, del trio pongono come oggetto radicale la disumanizzazione progressiva e le implicazioni del sempre più preponderante avvento della macchina, forse retrodatando le intenzioni alle prime decadi del secolo scorso e alle relative allarmistiche dottrine, ma riprendendole lungo le forme acutamente nervose e l’attenzione creativa dei medianici e cyborghiani performers e del loro interplay attrattivamente imperfetto. [Original article…]
Translation by Leofranc Holford-Strevens and Melanie L. Marshall:
A noisy, unstructured project, with a high level of provocation and at the same time of inspiration and listening to ‘other’, io 0.0.1 beta ++ skips the preamble and inhabits straightaway in the hyperacid notes of Han-Earl Park’s distorted guitar, which on one go open the fermenting turbulence of a menacingly perceptible trio (or vice versa), yet strong in a rather emphatic self-presentation: “On the stage: two men, a woman, and an artifact, a freestanding mélange of industrial, military, and domestic hardware. The humans hold graceful, polished objects, but the domed assemblage stands alone. And while the woman and men make sound (vibrate the air) holding and fingering the graceful objects, the artifact makes sounds without being touched at all. io and the humans improvise together, listening to each other, responding to each other’s musical gestures.”
The tight strings of Park improvise a rugged plateau but of long-term and lasting, living in the articulation and in the range of his electroacoustic physics, while on the ‘mechanical’ side of the instrumentarium the performing styles of Franziska Schroeder enrich the other half of the sax (alongside Matana Roberts, Alexandra Grimal, Ingrid Laubrock etc.) with a naked and experimental voice, together in harmony and dissonance with parallel and converging streams of the thoroughbred free-player Bruce Coates, and everything unfolds within a free and instantaneous improvisation, throughout its deviant development inquiring (without excessive paradox) whether authentic ‘otherness’ is the prerogative of the matter or, rather and viceversa of, the ‘human’.
And so the sophisticated presentation continues (quite synergistic with the intentions of the three): “io is not melodically inclined and has no narrative training to overcome; there is, though, a definite feeling of connection, in what Park calls ‘non-periodic gestures that nonetheless evoke periodicity.’”
Yet another example of ‘desiring’ post-avant-garde (as it was fashionable to suggest in the era of more politicized experimentation—at least intended as such), io 0.0.1 beta++ experiences a transmissive listening and open performance, which drinks in instantaneity and in the interplay displays the sign and the structuring pulse of the aleatory.
In short, the avant-garde is back: not that it ever really went away, but the questioning sounds, mangled and critical, of the trio set out as a radical object progressive dehumanization and the implications of the ever more dominant advent of the machine, perhaps backdating its intentions to the first decades of the last century and its alarmist theories, but taking them up through the acutely nervous forms and creative attention of medium-like and cyborgian performers and their charmingly imperfect interplay.
Incidentally, this review quotes from Sara Roberts’ liner notes.
[More info on the recording…] [All reviews…]
‘io 0.0.1 beta++’ (SLAMCD 531) is available from SLAM Productions. [Details…]
personnel: io 0.0.1 beta++ (itself), Han-earl Park (guitar), Bruce Coates (alto and sopranino saxophones) and Franziska Schroeder (soprano saxophone).
© 2011 Han-earl Park.
℗ 2011 SLAM Productions.
One Trackback
[…] Insomma, l’avanguardia è tornata: non che fosse mai stata davvero latitante, ma gli interrogativi sonori, lacerati e critici, del trio pongono come oggetto radicale la disumanizzazione progressiva e le implicazioni del sempre più preponderante avvento della macchina, forse retrodatando le intenzioni alle prime decadi del secolo scorso e alle relative allarmistiche dottrine, ma riprendendole lungo le forme acutamente nervose e l’attenzione creativa dei medianici e cyborghiani performers e del loro interplay attrattivamente imperfetto. [Read the rest…] [English translation…] […]